(segue da pag 1) Moltissimi personaggi anche molto famosi, come l’astronauta americano James Irwin, credettero ciecamente in queste prove indiziarie, e si creò un vero e proprio comitato internazionale attorno a questo mistero, e si cercò di risolverlo in modo scientifico.
Numerose furono le spedizioni archeologiche che si avventurarono in quei luoghi, nella speranza di confermare storicamente il racconto della Bibbia, e ognuna di queste affermò, al ritorno, di aver ritrovato reperti. Ora di legno fossile, ora di fantomatici relitti, o addirittura di antiche ancore in pietra, ma tutte in assenza di prove scientifiche, fino a quando la Turchia, negli anni 90, a causa di un rapimento di alcuni archeologi da parte di guerriglieri del PKK curdo, vietò l’accesso al sito. Fin dalla prima spedizione, nacquero due scuole di pensiero, una che affermava che quanto raccontato nella Bibbia potesse essere scientificamente provato, e l’altra che affermava l’esatto contrario. I primi sostengono che le misure riportate nella Bibbia, ossia 300 cubiti di lunghezza, cinquanta di larghezza e trenta di altezza, corrispondono esattamente alle misure della strana forma sotto i ghiacci, troppo perfetta perché sia casuale, quindi certamente l’Arca, mentre i secondi affermano che ciò è impossibile per diverse ragioni. Alcune di queste ultime sono assolutamente inoppugnabili, come quella che afferma che, qualunque manufatto sepolto all’interno di un ghiacciaio per oltre 5000 anni, sarebbe inevitabilmente triturato dalla forza di slittamento dello stesso, l’altra che addirittura contesta le dimensioni dell’Arca. Gli storici hanno calcolato che l’Arca dovesse essere circa 136 metri di lunghezza per ventiquattro di larghezza, e alta più di una decina. Ebbene, la tecnologia necessaria per costruire un simile scafo, si ebbe solo alla fine del 1800, con largo uso di rinforzi di ferro, e pompe di sentina per svuotare le infiltrazioni d’acqua.
Per quello che riguarda poi i reperti di legno fossile, gli studiosi fanno notare come il processo di fossilizzazione comporti tempi molto lunghi, in ordine di milioni di anni, quindi fuori contesto storico. Ultimo ma non meno importante il fatto che l’Ararat è uno stratovulcano, ossia un vulcano le cui eruzioni sono in prevalenza a carattere esplosivo, molto simili al S. Elena situato negli Stati Uniti, e che pochi anni fa ci mostrò tutta la sua distruttiva potenza. Poiché anche l’Ararat è un vulcano attivo, e che l’ultima eruzione si ebbe nel 1840, è molto improbabile la sopravvivenza di un manufatto in legno per oltre 5000 anni. Ecco perché la notizia di questi ultimi giorni ha lasciato indifferente la maggior parte del mondo accademico mondiale. Che il genere umano desideri ardentemente un tramite che lo possa tranquillizzare sull’esistenza di un’entità sopranaturale, è ormai una certezza assodata. A riscontro di questo, vi sono le innumerevoli reliquie, o presunte tali, sparse per tutto il pianeta, e più la situazione socio-economica è compromessa, e più vi è una proliferazione di effigi sacre che piangono, di apparizioni mistiche o ufologiche. Prendiamo dunque il racconto del Diluvio per quello che è, un’affascinante leggenda, una metafora su come vivere la propria esistenza, nel rispetto del prossimo, dell’ambiente, e verso tutti gli esseri viventi, e questo non per paura di un improbabile cataclisma planetario, ma per esaltare, ed elevare, la nostra dignità di essere uomini.
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