Come già ampiamente detto in altri articoli, con la caduta dell’Impero Romano, avvenuta nel 476 d.C., le popolazioni italiche subiscono un arretramento sociale e tecnologico di parecchi secoli, dovuto all’invasione dei barbari che saccheggiano e distruggono tutto al loro passaggio. Spesso questa mia affermazione suscita perplessità nelle persone che mi ascoltano, non riuscendo a comprendere come un popolo così evoluto, come gli antichi romani, capace di innalzare splendidi templi, e grandiosi edifici, costruire arditi acquedotti e strade superbe, possa, nel giro di una generazione, tornare quasi all’età della pietra. Cercherò di spiegarlo con un esempio; prendiamo alcuni oggetti di uso comune come un bicchiere di vetro, o un coltello da cucina, tutti noi sappiamo cosa sono, e come si usano, ma quanti sarebbero in grado di costruirli? Penso pochissimi, se io uccidessi chi è in grado di farlo, e distruggessi le fabbriche? Nel giro di pochissimo tempo si perderebbe non solo la tecnologia per fabbricarli, ma addirittura la memoria della loro forma e uso. Questo è esattamente quello che è successo in quel periodo, lo spopolamento delle città, la cessazione quasi totale dei commerci, e di conseguenza degli scambi culturali, fecero il resto. Tutte quelle attività artigianali indispensabili per costruire oggetti di uso comune, dovettero essere “rimparate” da capo, con una tempistica di secoli, e con la tecnologia e
i materiali disponibili in quel periodo, ma soprattutto, non esistendo alcuna forma d’insegnamento, cercando di migliore il prodotto con l’esperienza, e per tentativi. Dimenticate le tecniche di costruzione degli edifici in muratura, per secoli la vita quotidiana si svolse in semplici capanne di legno, con il tetto di paglia, unico rifugio per uomini e animali che vivevano in promiscuità, il ferro diventa più prezioso dell’oro, così come il sale, unico elemento disponibile per la conservazione dei cibi, e per molte lavorazioni indispensabili alla vita. Una di queste fu senza dubbio il conciapelli. Questo mestiere, anche se indispensabile, era mal sopportato dalle popolazioni del tempo, perché causava miasmi pestilenziali dovuti alla putrefazione dei residui di tessuti e sangue presenti nelle pelli da conciare. Odore tanto sgradevole che anche negli statuti carrarini stipulati sotto Gian Galeazzo a Carrara, si stabilisce che tali lavorazioni dovranno essere fatte “al di la dello Aventia” (Carrione) quindi fuori dal cento abitato. Stessa sorte la subirà il tessitore. Il nome non deve trarre in inganno perché non si tratta dell’attività a noi nota effettuata di solito dalle donne con un telaio, o meglio, quello sarà il passaggio successivo. Al tempo i materiali per tessere abiti, o altri oggetti come, vele, reti, corde, destinati al popolo, erano essenzialmente tre, il lino, la canapa, e la ginestra. Per fare la ”battitura” ossia per liberare le fibre dalla scorza legnosa, queste piante avevano bisogno di un lungo processo di macerazione in acqua; corrente, o in vasche, che inevitabilmente portava cattivo odore. Queste due attività assieme a quella del pastore per la produzione di lana, erano un po’ considerate come “l’industria pesante” del tempo, in quanto al loro seguito vi era una vasta categorie di artigiani che sfruttavano le materie prime da loro fornite, come i tintori, i sellai, i cordai, e i calzolai. (continua a pag 2)
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