
Esistevano poi forme di caccia fatta dal Signore solo per divertimento, come quella col falcone, questa forma venatoria è stata per secoli appannaggio solo delle classi nobili o più abbienti, anche il grande Dante Alighieri sembra che fosse un’abile falconiere. Anche qui esisteva un rigido protocollo che imponeva di usare un tipo di rapace secondo l’importanza nobiliare, così solo l’Imperatore poteva usare il
Pellegrino, l’
Aquila reale, o il
Girifalco, i nobili, i
Sacri, gli
Astori, e i
Lanari, mentre le dame e il clero erano autorizzati a servirsi di
Smeriglio,
Sparviere e
Lodolaio. In una cronaca del tempo viene descritta una di queste cacce; il Signore con la sua corte, a volte composta di centinaia di persone, era a cavallo, contornato da servi a piedi che, oltre a porgere vino e acqua ai partecipanti, avevano il compito di sostenere i rapaci di riserva, e recuperare le prede, i
Fattori facevano porre tutta la gente delle masserie, compresi donne e bambini, in una fila, lunga spesso diverse centinaia di metri, poi al segnale del corno avanzavano urlando e battendo con bastoni il sottobosco. A quel tempo non esistevano animali protetti, e qualunque cosa fino alle dimensioni di una volpe, camminasse, o volasse, era considerata una preda. Tutto quello che veniva catturato, veniva portato al castello, mentre alla gente non restava che la fatica, e i danni nei campi coltivati dovuti al passaggio dei cavalli.
Alcuni Conventi e Vassalli, istituirono delle vere e proprie riserve, dove era proibito fare qualsiasi tipo di raccolto, anzi, facevano seminare farro, o fave, a uso esclusivo degli animali. Questa pratica portò a un aumento vertiginoso del numero dei selvatici, in particolare cinghiali, tanto che si hanno notizie di livelli pagati al Signore in “cinghiali” interi o in quarti (continua a pag 2)
Il nostro medioevo di Enzo De Fazio
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