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segue da pag 1) Vi era poi una caccia “
spicciola” usata per il fabbisogno giornaliero della Curtis, era composta da piccoli animali come lepri o conigli, ma soprattutto da uccelli, questa attività considerata “
inferiore” era lasciata ai servi se non addirittura ai bambini. Per i conigli si usava in prevalenza il furetto, usato al tempo anche dalle nobili dame come animale da compagnia, si posizionavano delle reti a sacco ad ogni uscita delle tane dei roditori, quindi si introduceva il furetto, i conigli terrorizzati uscivano di gran carriera, finendo nelle reti, venivano poi messi in cassette di legno e uccisi al momento del bisogno. Per gli uccelli, invece venne inventato uno strumento terribile, che purtroppo è usato dai bracconiere anche ai giorni nostri; l’
archetto. E’ costituito da un bastoncino di nocciolo o frassino, che dopo essere stato piegato a formare una “U”, viene tenuto fermo da un rametto che funge da posatoio. Su una delle estremità della U è legato un crine di cavallo, che dopo essere fuoriuscito tramite un piccolo foro dalla parte opposta, viene annodato a formare un cappio tenuto aperto e posizionato sul posatoio. Una bacca di sorbo o di sambuco era posta come esca al disotto del posatoio, quando l’uccello si posa, il b

astoncino cade, e l’archetto scatta imprigionando e spezzando le zampe del malcapitato, che rimane bloccato a testa in giù. Questa forma di uccellagione era praticata nei mesi di passo, e veniva fatta dai bambini, che ripetevano il giro delle trappole varie volte al giorno, per catture più prede possibile. In Inverno invece si usava “
la cesta”, Questa era una vera e propria cesta di vimini, di solito di forma quadrata, intrecciata a trama piuttosto larga, con un bordo di una decina di centimetri. Si posizionava nelle vicinanze delle concimaie, dopo avere pulito e raschiato il terreno, veniva posta per terra capovolta e tenuta aperta da un bastoncino legato ad una cordicella, con l’altro capo tenuto da un bambino nascosto. Al di sotto si ponevano delle larve della farina allevate apposta, chiamate “
camole”, quando un merlo, o un tordo vi si avventurava sotto, bastava uno strappo, la cesta cadeva e questo rimaneva imprigionato, vi era poi, per corvi e colombi, anche la versione con lo scatto autonomo, con una pietra legata sopra la cesta, a fare da zavorra. Nell’Est Europeo, come Polonia e Ungheria, era molto praticata una tecnica di caccia detta “
dell’accavallamento”. Si usava principalmente per la cattura delle oche da grano, per natura sospettosissime, e amanti delle distese aperte, si procedeva così: il cacciatore, qui si armato di arco o di balestra, si teneva nascosto dietro il corpo di un cavallo che, debitamente addestrato, si avvicinava alle prede con lenti cerchi concentrici. Le oche abituate a pascolare tra i grossi animali, non si insospettivano, e si facevano tranquillamente avvicinare dal cacciatore, che spesso riusciva ad abbatterne anche più di una, prima che si accorgessero del pericolo e fuggissero.
Dopo la Rivoluzione Francese però, la caccia venne liberalizzata, ossia chiunque poteva praticarla così, si cominciò a vedere nei mercati la figura della ”treccola” ossia la venditrice di selvaggina, in particolare uccelli, ma anche scoiattoli, lepri, ricci, e persino volpi. In modo particolare prosperò l’uccellagione, e nacquero per la loro cattura delle vere e proprie opere d’arte; i roccoli. Questo impianto era costituito da due semicerchi di alberi o cespugli sempreverdi piegati a formare degli archi, con un raggio di circa settanta metri quello esterno, e di circa cinquanta quello interno, molto somigliante a un piccolo Colosseo vegetale. Nelle aperture ad arco erano sistemate due sottili reti accoppiate, una con maglie grosse, e l’altra molto piccole. Al centro del cerchio, erano piantati diversi posatoi, a simulare un boschetto, e su alcune pertiche erano poste gabbie con richiami vivi, dette “spie” che cominciavano a cantare quando vedevano passare gli uccelli. Attorno al perimetro dei cerchi, ben nascoste, decine di altre gabbie con richiami di diverse specie, molti dei quali accecati, intonavano in risposta una melodia irresistibile per gli uccelli di passo, che si posavano sul finto boschetto. A quel punto il cacciatore nascosto in un capanno azionava una pertica che aveva fissato alla sua estremità lo “spauracchio” di solito fatto con piume di gallina, e imitava il grido del falco. Gli uccelli terrorizzati fuggivano verso il basso cercando di passare sotto gli archi, rimanendo così impigliati nella rete. Questo sistema è rimasto in uso fino ai primi anni ottanta, prima di essere dichiarato fuorilegge, per la sua micidiale efficienza. Attorno al 1650 poi, fecero le loro apparizione i primi archibugi da caccia, che, anche se molto rudimentali, decimarono in pochissimo
tempo la selvaggina, decretando addirittura l’estinzione di alcune specie in determinati luoghi. Tipico esempio fu il luparo. Presente soprattutto nelle regioni meridionali, questo personaggio si guadagnava da vivere uccidendo i lupi e girando nei paesi a mostrarne le spoglie, ottenendo per ricompensa beni di consumo, e perfino una taglia in denaro che alcuni Signori avevano istituito. Paradossalmente la sua bravura uccise se stesso, perché l’estinzione del lupo decretò anche la sua fine.
Oggi la caccia, nonostante sia rigidamente regolamentata, è fortemente osteggiata dai movimenti ecologisti, che sostengono che la sua pratica non sia più né etica, né morale, certamente non è più necessaria al sostentamento della razza umana, quindi, ognuno agisca secondo coscienza.
Il nostro medioevo di Enzo De Fazio
Ormai il medioevo è passato, e la caccia è da considersi una pratica aberrante che offende la Società moderna
Scritto da: Annamaria | 10 ottobre 2009 a 11:29
Io penso che l'uccellagione sia una pratica inutile e crudele, oltre tutto gli uccelli sono patrimonio di tutti, e non solo di chi li uccide
Scritto da: pino | 10 ottobre 2009 a 11:06