Lungo il sentiero si osservano, in particolare, due edifici ormai diroccati che forse rappresentavano depositi per le attrezzature ed i macchinari; con grande tristezza, ma anche con estrema curiosità ed attenzione per lo stato dei luoghi, è possibile entrare in tali edifici. Un’altra costruzione, di dimensioni maggiori è quasi del tutto crollata e si individua nel fitto del bosco poco sotto al sentiero. Probabilmente, vista la struttura dell’edificio e la sua ubicazione, fungeva da dormitorio per i minatori. Fuori dall’imbocco della miniera si trova un piccolo piazzale, ricoperto dal caratteristico minerale che vi era estratto.
La miniera è stata coltivata tra il 1939-1943 da alcune società private, ma probabilmente il sito era già conosciuto in precedenza. Il minerale veniva calato tramite una teleferica (nel bosco si ritrova ancora una struttura in legno che forse era parte della teleferica) poche centinaia di metri più in basso, presso un piazzale ampio dove tutt’oggi è visibile una grossa costruzione in cemento e pietra che probabilmente fungeva da deposito di raccolta. Il piazzale in questione si trova nei pressi di una vecchia cava abbandonata (ex cava Peghini) ed era collegato tramite una lunga strada sterrata che conduceva al passo della Gabellaccia e quindi alla rete stradale. Quindi il minerale, una volta estratto, seguiva un percorso abbastanza lungo ma nel complesso funzionale e ben organizzato. Non è chiaro poi dove venisse lavorato, ossia in quale sito industriale era estratto il manganese dalla roccia.
Il manganese è un metallo che in Italia era ricercato soprattutto in altre località minerarie (Liguria, Val d'Aosta, Piemonte, Toscana Meridionale) con risultati economicamente più vantaggiosi, ma in epoca “autarchica” fra le due guerre, anche piccoli giacimenti erano utili e quindi sfruttati.
Sulle Alpi Apuane l'importanza economica di queste ricerche e sfruttamenti ha avuto momenti di una certa importanza soltanto nel periodo compreso tra le due guerre mondiali in un momento storico dove le risorse economiche nazionali vennero valorizzate per esigenze "autarchiche”.
Sulla miniera di “Scortino” si trovano pochissimi approfondimenti, con alcune ricerche a carattere universitarie pubblicate tra il 1956 e il 1967 e recentemente grazie ad una tesi di laurea di un geologo: Sergio Mancini. Da tale interessante tesi si rileva che il giacimento in questione è un giacimento a Carbonati, silicati e ossidi di Mn, con filone stratiforme di potenza variabile da 0.5 a 3 metri, con immersione media 25° SE e lunghezza in affioramento seguibile per circa 300 metri. Il tenore era mediamente del 40% di resa di Manganese. La quantità di minerale estratto non è stato abbondante, ma dalla lettura dei dati presenti nella ricerca si rileva una escavazione accertata di circa 10.000 tonnellate su riserve stimate di circa 100.000. Si citano alcuni passi del lavoro di tesi: “Il giacimento presenta un andamento planare, parallelo alla foliazione S1, composto da rocce nere e verdi cupo con notevole fenomeno di boudinage dei livelli a fillosilicati (in prevalenza manganesiferi) e del minerale rosa (Rodocrosite, Rodonite). Le fasi mineralogiche accertate con analisi diffrattometriche a raggi X e chimiche EDS con microscopia elettronica a scansione sono state : Rodocrosite, Kutnohorite, Rodonite, Piroxmangite, Granato Spessartite, Manganocummingtonite (Anfibolo monoclino di Mn), Epidoti anche di terre rare, Barite, Tefroite, Silicati Idrati di Mn”.
Quindi si consiglia una visita al sito, adottando le opportune precauzione in considerazione degli edifici ormai pericolanti. Con un po’ di attenzione è possibile trovare qualche minerale dal caratteristico colore scuro (verde – nero). Se alla curiosità per i vecchi siti archeominerari si aggiunge la voglia di camminare, si raccomanda di proseguire fino alla vicina località del Cardeto e salire sulla Rocca di Tenerano oppure sulla Torre di Monzone, dalle quali è possibile osservare un ampio panorama che spazia dalla Lunigiana al mare.
A cura di Guido Iacono
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