(segue da pag1) Questo personaggio, noto purtroppo solo per la costruzione di questa strada, era invece un vero pozzo di scienza, insigne teologo, la sua preparazione scientifica spaziava in vari campi, oltre che docente di matematica all’Università di Modena, era anche un abile ingegnere, uno storico, ma soprattutto un valente cartografo. Si deve proprio a lui l’introduzione nelle carte topografiche delle “linee di livello” strumento indispensabile anche ai giorni nostri per una corretta lettura delle quote altimetriche.
Durante i sopralluoghi effettuati personalmente per il progetto della strada, compila due grosse opere cartografiche, chiamate una “ Carta del Modenese” e l’altra “Le carte degli Stati del Serenissimo Signor Duca di Modena” considerate a tutt’oggi le migliori carte del tempo. Ma svolgere l’incarico affidatogli dal duca, non è facile, anche per le pesanti limitazioni impostegli, la strada non dovrà in nessun modo passare per i possedimenti dello Stato Pontificio, il Granducato di Toscana, e il Ducato di Lucca, “dovrà essere di facile manutenzione, larga dieci braccia, e venti nelle voltate” avere una pendenza che possa essere superata da carriaggi carichi di marmo, avere piazzole per lo scarico e carico delle merci, e possedere a distanze regolari delle casermette per le guardie che dovranno riscuotere il pedaggio.
Si da inizio ai lavori nel 1738, e dopo dieci anni la strada è completata, ha una lunghezza totale di 360 Km. ed è un’opera veramente grandiosa e innovativa per il tempo, partiva da Modena e si dirigeva verso Sasso Tignoso passando l’Alpe nei pressi di S. Pellegrino, dopo avere valicato le Alpi Apuane al passo della Tambura alto ben 1634 metri, scendeva verso la Garfagnana. Subito dopo aver oltrepassato lo spartiacque naturale tra Emilia e Toscana di S. Pellegrino, il Vandelli con una lungimiranza ammirevole, aveva predisposto due percorsi alternativi, denominati la Calda e la Fredda, da percorrere in estate, o in inverno, prima di scendere verso la Garfagnana, e l’aspro passo della Tambura. Solo oggi con un’attenta analisi si capisce il grande lavoro di progettazione fatto dal Vandelli, egli essendo uno storico conosceva bene le antiche strade costruite dai romani in quelle zone, come la via Clodia Minor, o la ancora più antica Bibulca, andate poi in rovina, o i passaggi in crinale utilizzati per millenni dalle popolazioni dei Liguri Friniati per raggiungere il mare. Seguì perciò parte di questi antichi tracciati, ma introdusse anche delle novità rivoluzionarie, come il selciato effettuato a raggiera nelle curve e con pietre di taglio, in modo che non subissero slittamenti laterali provocati dalle ruote dei carri. Fece venire manodopera specializzata piemontese, per la costruzione di muri a secco di contenimento, che permettessero il filtraggio dell’acqua senza provocare smottamenti, misure così efficaci che nonostante l’incuria dell’abbandono, e le proibitive condizioni climatiche a cui è sottoposta, hanno permesso a questa strada, di arrivare ancora in buono stato fino ai nostri giorni. Ma sicuramente l’impresa più titanica fu l’allargamento tramite esplosivo del passo della Tambura, si deve immaginare il lavoro che fu necessario per lo smaltimento del materiale di risulta, fatto a quelle altezze e totalmente a mano. Anche la piazzola effettuata per la sosta delle diligenze chiamata “Terrazza Vandelli” è certamente un’opera imponente, essendo stata interamente intagliata nella roccia viva. Il percorso da www.giscover.com
Come era usanza al tempo, la strada non doveva attraversare nessun centro abitato, unica eccezione per motivi logistici era il passaggio nel centro di Fabbriche di Careggine, l’antichissimo paese dei fabbri, oggi sommerso dalle acque del lago di Vagli. Proprio come una moderna autostrada, questa via aveva numerose uscite, alcune per stazioni di sosta, necessarie per effettuare il cambio dei cavalli, altre per centri commerciali, come cave, miniere di ferro, o mulini. Ma il Vandelli non poteva certamente nulla contro la natura, così la sua meravigliosa strada cominciò da subito a mostrare le sue lacune nei mesi invernali, quando la neve e il gelo la facevano da padrone, così, nonostante la cessione gratuita di terreni, e importanti sgravi fiscali che il duca concedeva a chiunque fosse andato ad abitare nelle sue vicinanze, la strada conobbe l’ingiuria di un lento abbandono, e cadde presto preda di bande di briganti che rendevano pericoloso il suo tracciato. Sono tutt’ora visibili in alcuni punti, i fori praticati sul ciglio della strada per innalzare le forche per giustiziare questi malfattori, azioni che purtroppo non eliminarono la piaga delle loro scorribande. Questo fu troppo per il Vandelli, che preso da una forte crisi depressiva si uccise nel 1754. Nulla a che a vedere dunque, su una sorta di leggenda che voleva che il suo suicidio fosse stato causato dall’avere sbagliato il raggio dell’ultima curva vicino a Massa, impedendo così i viaggi della carrozza ducale. A sgomberare ulteriormente il campo da questa teoria fantasiosa, un fatto che pochi conoscono, cioè, che la via Vandelli, cominciata, e fortemente voluta da Francesco III d’Este, fu in realtà terminata da Maria Teresa, che fece costruire l’ultimo tratto dalla Tambura, fino a Massa.
Oggi, grazie anche a un sapiente restauro effettuato dal Comune di Massa, e dal Parco naturale delle Alpi Apuane, l’antica strada è ancora percorribile per lunghi tratti, anche in fuoristrada o mountain bike, ma è certamente a piedi che si può ammirare in tutta la sua bellezza, e ricordare colui che la pensò, e a quanti, per effettuare quest’opera grandiosa, persero la vita.
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