Senza ombra di dubbio, il carbone vegetale è stato per secoli la fonte energetica primaria per la società umana, e non soltanto per il riscaldamento domestico e la cottura dei cibi, ma anche per l'embrione di industria siderurgica esistente all'epoca. Conosciuto da millenni, fu però in epoca medievale, che il carbone vegetale ebbe la sua massima diffusione, con il potere calorifico superiore a quello della legna, molto più leggero da trasportare, pesava in media l' 80% in meno di un uguale cubatura in legname, ben presto diventò un vero e proprio “oro nero medievale”, basti pensare che si è recentemente calcolato che una “piazza”, ossia il luogo dove veniva allestita la carbonaia, era in grado di consumare in un mese quasi cento ettari di foresta. La sua produzione iniziava in autunno, e finiva in tarda primavera, con attori e regole, che nel corso dei secoli si erano saldamente codificate. Un certo numero di uomini liberi, tramite il pagamento di un “banno” avevano dal Signore il permesso di sfruttamento di un bosco, naturalmente la specie degli alberi di cui era composto influiva moltissimo sul prezzo, perché un bosco di querce e carpini, considerati legnami forti, aveva molto più valore di uno di castagni, tigli o olmi, giudicati dolci, tanto che un bosco di alberi pronto per il taglio e costituito da legno forte si chiamava “forteto”. Di solito questi uomini erano gli stessi affittuari dei campi, che durante i mesi in cui l'agricoltura era ferma si trasformavano in boscaioli e carbonari, in alcuni casi invece, come si pensa avvenisse dalle nostre parti, questi lavoratori erano una vera e propria compagnia di mestieranti transumante, pagati in natura con lo stesso carbone, che provenivano da luoghi anche molto distanti, per svolgere il lavoro stagionale di carbonaio.
Questo lavoro, oltre a essere estremamente duro, collocava chi lo faceva di mestiere, ai margini della società, trattato come un paria, sopportato solo perché necessario. I motivi di questo trattamento vanno ricercati nell'ambito di una società estremamente superstiziosa e ignorante, dove religione e magia, spesso si sovrapponevano in un connubio impossibile da comprendere; così dove il legno era considerato materia viva e nobile, era evidente che chi lo tagliava e bruciava non poteva non essere paragonato a un carnefice, quindi, anche se necessario maledetto da Dio, il colore nero poi, che molto spesso entrava nei pori della pelle e vi restava per settimane, non aiutava certo a farlo apparire “umano”, come il potere di passare le notti nei boschi e uscirne la mattina dopo, vivo e vegeto, non poteva che essere opera di una protezione diabolica. Molti studiosi collocano l'origine della fobia dell'uomo nero, proprio in quel periodo, legata alla figura del carbonaio. Anche la credenza secondo cui, se una donna sterile portava un suo indumento intimo dove vi era stata una carbonaia, e dopo averlo lasciato lì una notte intera, lo riprendeva e lo indossava, poteva concepire un figlio, era sicuramente dovuta al fatto che, siccome il carbonaio passava diverse settimane nei boschi in castità forzata, la sua carica sessuale repressa sarebbe stata molto presente ed attiva nel luogo che lui abitualmente frequentava. (continua a pag 2)
Commenti