Uno degli elementi più comuni in natura è il ferro, ma per le difficoltà nella sua estrazione e lavorazione, è stato uno degli ultimi traguardi tecnologici raggiunti dall’umanità.
Purtroppo come spesso accade nella storia umana, questa scoperta ha profondamente rivoluzionato in particolar modo le attività belliche, portandole ad un livello d’efficienza nello sterminio umano, paragonabile all’invenzione della bomba atomica in era moderna.
Fu in epoca medievale che si ebbe il maggior sviluppo della siderurgia, in particolar modo in paesi come la Germania, ma anche in Italia, specialmente nell’odierna Toscana, dove gli abbondanti giacimenti di Ematite dell’isola d’Elba, favorirono un primo embrione di industria siderurgica, volta in particolar modo nella costruzione di armi ed armature.
Come si è detto in precedenza produrre il ferro non era un’operazione facile, visto che per la sua fusione è necessaria una temperatura di oltre 1500°, ad una particolare preparazione del minerale.
Questo richiede quattro fasi di lavorazione, la selezione, l’arrostimento, la frantumazione, ed il lavaggio. Queste operazioni, come è facile intuire, erano fatte esclusivamente a mano, come manualmente avveniva l’estrazione del minerale dalla miniera, cosa che comportava tempi lunghi ed enorme fatica, la selezione consisteva nell’eliminazione di terra e altro materiale che poteva essere mescolato al minerale, questo si deponeva su un fuoco di legna per parecchie ore, operazione necessaria per un’ulteriore eliminazione delle scorie, poi si procedeva alla sua frantumazione tramite martellatura in pezzi grossi all’incirca come una noce, quindi si deponeva per parecchi giorni, in canestri di vimini, sul fondo di ruscelli per il lavaggio.
Per la fusione si usava un forno primitivo chiamato “bassoforno” o “bassofuoco” che era costituito da un semplice catino scavato nel terreno in alcuni casi coperto da una cupola in terracotta con un foro al centro, in cui si depositava a strati, carbone vegetale, minerale di ferro, e argilla. La combustione era agevolata da una ventilazione forzata, ottenuta da grossi mantici azionati manualmente, o in tempi più moderni, ad acqua, mentre nell’antichità si hanno notizie di forni costruiti in luoghi molto ventosi, e posti in modo da sfruttarne il flusso. Con questa tecnica si otteneva un ferro spugnoso di pessima qualità, a bassissimo tenore di carbonio, che per il suo utilizzo necessitava di un’ulteriore riscaldamento al colore rosso, e la successiva martellatura su l’incudine, con varie ripiegatura su se stesso, per eliminare le scorie e dare una certa omogeneità al metallo, operazione questa eseguita dal fabbro, chiamato in dialetto carrarino “magnan”. (continua a pag2 con i fabbri di Castelpoggio)
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