Oltre ad una torre a base quadra per ogni angolo, i castelli più grandi ne avevano anche altre a distanza intermedia da torre a torre, con la cima a terrazza, coperta di solito da una semplice tettoia di legno o in laterizio, e armate in genere da una catapulta o una balista. Queste armi erano dei veri e propri capolavori d’ingegneria militare pur nella loro semplicità, costruite in legno, erano basate sulla forza che derivava dal rilascio istantaneo di un materiale sottoposto a torsione, in questo caso capelli di donna, scagliavano a grande distanza pietre, nel caso della catapulta, o fino a tre grossi dardi in un sol colpo, per la balista, con il famoso “fuoco greco” applicato sulle punte, con lo scopo di incendiare le macchine da assedio del nemico, come il temutissimo ariete. Quello del cosiddetto fuoco greco, è un altro mistero non ancora risorto, infatti, a tutt’oggi non si sa di cosa fosse composto questa terribile miscela incendiaria che “non si spengeva né con acqua né con sabia”. Si ha addirittura un documento in cui il consigliere del Doge, Basilio Scola nel 1499 propose la costruzione e l’uso contro i turchi di ”zento lanze tosegate le qual butano fuogo da rompere ogni esercito”. Altri documenti ci dicono che questo composto era largamente usato anche nelle battaglie navali, con il lancio da nave, a nave, d’orci in terracotta “pieni di fogo”.
Quando gli assalti con scale e rampini non riuscivano ad espugnare il castello, si ricorreva all’assedio, che poteva durare anni, cercando di far capitolare gli assediati per fame, o per mancanza di materie prime, come ferro per fare punte da frecce, o la semplice legna da ardere per il vivere quotidiano, cosa che i castellani cercavano di evitare facendo frequenti sortite, e mentre gli armati tenevano impegnato il nemico, le donne e i ragazzi raccoglievano le frecce già usate e la legna da ardere. Era d’uso comune da parte degli assediati durante le sortite anche spogliare i cadaveri delle armi per ricavarne ferro, mentre non era infrequente da parte degli assalitori il lancio dei cadaveri oltre le mura per provocare pestilenze. Alcuni studiosi affermano che fu proprio per colpa di questa pratica avvenuta durante un assalto ad un castello in Oriente, se ebbe luogo la terribile epidemia di peste, che nel 1347 si diffuse in Italia, a causa di ratti infetti sbarcati da una nave nel porto di Genova, e decimò un terzo della popolazione Europea. Si hanno notizie che testimoniano come al tempo la vita umana avesse un valore molto vicino allo zero, infatti, al seguito degli eserciti attaccanti vi erano i “berrovieri” una sorta di feccia umana composta di criminali, e disperati d’ogni tipo, che partivano per primi all’assalto del castello armati di coltello e di un sacco per la razzia. Pochissimi di loro tornava indietro vivi, ed erano tollerati dagli eserciti attaccanti proprio perché attiravano su di essi il tiro dei castellani, che li odiavano ferocemente, sapendo benissimo quale fosse il loro scopo.
Anche grandi geni come Michelangelo e Brunelleschi si cimentarono nella progettazioni di sistemi di difesa o d’offesa, non sempre andati a buon fine, come accade durante l’assedio di Lucca nel 1430, quando su progetto del Brunelleschi si deviò il corso del Serchio per allagare il nemico, ma che la rottura di un argine si ottenne l’effetto contrario, allagando l’esercito amico.
Anche le armi da assedio progredirono, e si arrivò alla costruzione di grandi macchine come il gigantesco “mangano”, che sfruttando un contrappeso, era capace di scagliare massi da una tonnellata ad oltre trecento metri, o torri semoventi chiamate “belfredo” che si potevano avvicinare e poi scagliare con la “ronfea” pietre contro le mura con la violenza di una cannonata. Era molto usata anche la “mina”, ma non si pensi a nulla d’esplosivo, poiché la polvere da sparo sarà introdotta attorno al 1500, questa tecnica consisteva nello scavare un tunnel puntellato con pali di legno fin sotto le fondamenta della cinta muraria, qui giunti, si ammucchiava attorno ai puntelli pece e fuoco greco, quindi si appiccava il fuoco. Priva di sostegno la galleria crollava trascinando nella caduta anche le mura. Con l’avvento delle artiglierie, la struttura dei castelli cambierà in modo radicale, le mura saranno costruite con un’intercapedine ripiena di terra e pietrisco, e arriveranno ad uno spessore di oltre sei metri, saranno fatte a scarpata e con gli angoli acuti per deviare i colpi, le torri diverranno circolari, e saranno costruiti “barbacani” per impedire l’avvicinamento di macchine da assedio.
Nel corso dei secoli anche le nostre fortezze subirono diversi attacchi, di cui uno dei più sanguinosi fu senza dubbio l’assalto alle fortezze di Massa e Lavenza (Avenza) avvenuti nel 1344 da parte del Signore di Milano Luchino Visconti, che oltre alla loro capitolazione, costò ai Pisani che le presidiavano, una perdita di 500 uomini.
Anche Moneta fu assalita il 12 aprile del 1605 da cento archibugieri d’Ortonovo che dopo essersi scontrati con la guarnigione, razziarono le carbonaie di Fontia e Moneta, provocando una furiosa lettera di protesta d’Alberico I ai genovesi.
Da un resoconto dai Capitoli delle Milizie di Massa e Carrara datato 1602 si conosce la dotazione in armi del castello di Moneta consistente in: "2 sagri o falconi, 6 moschettoni, 4 archibugioni in posta, 10 bariloni de polvere, 40 libre de miccia in 70 gavetoni, piombo in pani”.
Questo a riprova che anche nel medioevo, molte delle risorse intellettive e finanziarie del genere umano erano indirizzate in modo scriteriato verso la distruzione di noi stessi.
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