La parte di corazza principale, era costituita da una maglia di ferro detta “usbergo” che copriva con un cappuccio la testa, e continuava fino alle ginocchia, era composta d’anellini di ferro intrecciati tra loro e ribaditi che offriva una buona protezione ai colpi di punta delle spade, mentre era meno efficace per quelli di taglio, per ripararsi dal sole e dalla pioggia, si metteva al di sopra una specie di tunica detta ”giornea”, con lo stemma araldico ricamato, vi era poi l’elmo con celata che riparava dai colpi collo e testa. Con il passare del tempo, l’armatura si è evoluta fino ad arrivare a quelle in uso nel 1400 totalmente chiuse e snodabili, composte da piastre d’acciaio sagomate, che però avevano l’inconveniente del peso non certo lieve, che limitava di molto i movimenti del cavaliere. La segreta aspirazione di ogni cavaliere, era quella di diventare il Signore di qualche Feudo, spodestandone magari con le armi il proprietario, come avvenne ad opera dei cavalieri Normanni nel sud Italia.
Col passare dei secoli, la cavalleria divenne sempre più elitaria, totalmente indifferente al mondo che la circondava, sviluppando regole e codici d’onore che valevano però, solo verso gli elementi della stessa confraternita, anche se nemici, mentre aveva scarsissimo riguardo per quella “plebe” composta di “inermes” che loro disprezzavano, considerandoli gente senza onore, e che potevano perciò massacrare impunemente. Nel tentativo di porre un freno a quest’ondata di violenza, la Chiesa, pur senza mai proibire la guerra, cercò di incanalarla verso uno sbocco più “cristiano” promuovendo le Crociate, nacquero così Ordini Cavallereschi come i Templari, con il compito di liberare i luoghi Santi dagli infedeli, e proteggere i pellegrini che vi si recassero in pellegrinaggio, questi monaci guerrieri esaltarono ancora di più il concetto di confraternita chiusa, tanto che il loro sigillo raffigurava due cavalieri sullo stesso destriero. Resta chiaro che questo nuovo compito non impediva loro di continuare le razzie in Palestina, a conferma di ciò quest’Ordine divenne così ricco e potente da prestare soldi perfino al re di Francia Filippo il Bello, che non potendoli più restituire, e desideroso di impossessarsi dei loro tesori li dichiarò eretici e sciolse l’ordine, arrestando e uccidendone quasi tutti i componenti nel 1307.
Intanto i Castrum, si evolsero, diventando Comuni, le prime vere città fortificate, così mentre un tempo una carica di cavalleria aveva vita facile contro una massa di contadini impauriti e armati di forcone, ora era difficile anche avvicinarsi alle mura protette dai “sagittari”(arcieri) gente che nella mente dei cavalieri, potendo uccidere da lontano, erano di una vigliaccheria inconcepibile.
Per un cavaliere le regole così dette “d’onore” erano un dovere indiscutibile, potevano cioè massacrare moltitudini di plebei, in un corpo a corpo, uccidendoli magari con eleganti fendenti, ma era per loro inconcepibile che un volgare popolano combattesse contro di loro, scagliando frecce, o versandogli addosso acqua bollente.
Invece non solo gli arcieri potevano tenere a distanza i cavalieri, ma gli “homis faber” (i fabbri) del tempo, avevano scoperto che una punta di freccia piramidale, la cosiddetta “quadrella” poteva facilmente penetrare nelle corazze più leggere, in più, attorno al 1330 fu inventata un’arma tanto micidiale che la Chiesa minacciò di scomunicare chiunque l’avesse usata: la balestra.
La freccia che quest’arma scagliava a centinaia di metri di distanza con una precisione micidiale era chiamata “bolzone”, tozza e pesante, poteva perforare qualsiasi tipo di corazza. La plebe di un tempo poi, ora elevata al rango di cittadini, disponeva di una nuova arma “la picca” una lancia dalla lunghezza dai tre ai cinque metri, che risultava micidiale contro un cavaliere lanciato al galoppo. Erano poi periodicamente addestrati all’uso delle armi, e motivati dal fatto di essere a combattere per la propria vita e per quella della propria famiglia, perciò erano determinati e feroci. Non pensava certamente a comportarsi con onore un porcaio analfabeta, mentre azzoppava a colpi di mannaia un cavallo per disarcionare e fare a pezzi il cavaliere. Di uno di questi assalti al castello, a Carrara abbiamo un documento datato 1545, in cui si dice che il primogenito di Ricciarda, nel tentativo di riavere il potere su Massa e Carrara, diede l’assalto alla testa di cinquanta cavalieri alla “Rocha” (attuale Accademia) ma fu respinto dagli armigeri della madre, che per rappresaglia fece abbattere tutte le case dei cospiratori, e migliorò di molto le difese della Fortezza.
Con l’avvento di questa “gentes novae” e l’introduzione delle prime artiglierie, l’epoca cavalleresca volge al termine, anche se ufficialmente secondo alcuni studiosi questo avvenne già nel 1302, in quella, passata alla storia come la “battaglia degli speroni d’oro” dove, le milizie dei Comuni fiamminghi si scontrarono con la cavalleria francese di Filippo il Bello. Circa undicimila “fanti cittadini” attesero armati di picche e protetti dagli scudi, la carica della cavalleria francese, quindi contrattaccarono facendone strage, ed esponendo mucchi di speroni dorati come trofeo.
Nei secoli a venire lo scettro di regina delle battaglie passò alla fanteria, la cavalleria sopravvisse, anche se l’invenzione della mitragliatrice la rendeva praticamente inutile. Nonostante questo non sono mancati episodi di eroismo da parte di reparti di cavalleria coinvolti anche negli ultimi conflitti moderni, famoso è quello della guerra di Crimea, dove una Brigata di cavalleria leggera britannica, completamente circondata da truppe russe si lanciò in una carica disperata, conosciuta come “la carica dei seicento”, dove fu praticamente distrutta, mentre ebbe esito favorevole l’ultima carica effettuata dalla cavalleria Italiana sul Don nel 1941. A Isbusenzkj, gli squadroni del Savoia Cavalleria attaccarono di sorpresa un intera divisione russa sbaragliandola.
L’epopea cavalleresca è destinata a sopravvivere nei secoli, e a essere ricordata come l’esaltazione più alta dei migliori sentimenti dell’uomo, come onore, eroismo, giustizia, in realtà era un circolo chiuso in cui si imparava, e si metteva in pratica cinicamente “l’arte di uccidere!”
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