Altro tasto doloroso era il cibo. Esistevano tre tipi di diete, secondo la posizione sociale dell’individuo; la mensa del Signore del borgo era composta prevalentemente da carne, molto speziata per nascondere l’odore della putrefazione, ma soprattutto visto l’alto costo delle spezie, considerata il cibo dei potenti. Arrosti e intingoli erano in prevalenza di selvaggina, seguiti da maiale, pecora e capra, pollame vario compresi cigni e pavoni, poca verdura, poiché i medici del tempo la consideravano poco digeribile, pane bianco, focacce dolcificate con il miele, e frutta, il tutto annaffiato con un vino rosso chiamato ippocrasso, aromatizzato con zenzero, chiodi di garofano, e noce moscata, visto che la bassa gradazione e la cattiva qualità lo faceva diventare aceto entro l’anno, si beveva anche l’idromele, una bevanda alcolica a base di miele. Anche se particolarmente ricca questa dieta fortemente sbilanciata, procurava la ben nota gotta, oltre a malattie cardiocircolatorie che spesso lo portavano alla morte. Anche alla tavola del potente vi erano regole da seguire come “ … Non nettarsi le dita su tovaglia ma su lo pelame dei cani, non sputare nel desco, tenere le unghie nette e piacevoli, e dopo essersi soffiato il naso non nettarsi alla tovaglia, ma alle proprie vesti…”
Vi era poi la dieta praticata nei conventi, dove il cibo saporito era considerato un peccato, che avrebbe preparato corpo e spirito verso quello molto più grave della soddisfazione sessuale, perciò si consumava pesce bollito, zuppe di spelta e legumi come fagioli, fave, ceci, piselli, pane nero di segale o avena, con acqua di fonte, tutto ciò che poteva dare soddisfazione al palato, come miele o frutta, era rigorosamente bandito.
Naturalmente quello che valeva per frati e monache, non valeva per le alte cariche eclesiastiche, visto che il Papa Paolo II morì per un’indigestione di meloni, frutto di cui era ghiottissimo, mentre Gelasio I restò famoso per aver dato il nome alle crèpes, Bonifacio VIII istituì addirittura una cucina segreta. Un decreto Imperiale del 884 fissava le quantità, e cosa, il Vescovo di Luni poteva requisire durante una visita pastorale ossia: “50 pani, 50 uova, 10 polli, 5 porcellini lattonzoli”
Il cibo della plebe era costituito i prevalenza da zuppe e frittate di verdura, polenta fatta mescolando diversi tipi di farina anche di legumi e cereali, come farro e fave, pratica comune al tempo, formaggio, pane di segale o di avena, frutta di stagione o di bosco. Nella nostra zona, era anche forte il consumo di castagne con tutti i suoi derivati, mentre la vicinanza col mare facilitava il consumo di pesce, salato o affumicato, ma anche fresco, anzi a tal proposito vi è un documento che per decreto sancisce che:” ..alla fine del mercato del venerdì, il pesce rimasto deve essere lanciato ai poveri, perché non possa essere rivenduto il venerdì dopo…” Anche la norcineria era presente soprattutto nella produzione di lardo, utilissimo per gli operai impegnati nel duro lavoro delle cave, si parla poi di un salame detto ”della goccia” risalente addirittura al periodo Longobardo, ottenuto:”… tagliando grosso con lo coltello, grasso di maiale e carne magra e messa nello budello a seccare per mesi…” Questi erano i cibi a disposizione al tempo, ma non è detto che tutti ne potessero usufruire.
La totale mancanza di igiene (il sistema fognario non esisteva) parassiti come zecche e pidocchi, oltre a contaminazioni fecali di derrate alimentari da parte di ratti e topi, portavano frequenti epidemie tra cui le più gravi erano di colera, ma anche scabbia e enteriti, che colpivano soprattutto i bambini. La tubercolosi era endemica, e le polmoniti mietevano un gran numero di vittime. A questo si aggiungevano gli errori involontari, come il raccogliere erbe tossiche o velenose. All’epoca un altissimo numero di persone perdeva l’uso delle gambe, per le cosiddette “paralisi” solo in tempi moderni se ne è scoperta la causa. La cicerchia, una varietà di farro molto rustica che cresce rigogliosa in ogni tipo di terreno, e perciò largamente coltivata e consumata, contiene un alcaloide che nel lungo periodo determina disturbi neurologici agli arti inferiori, fino alla totale paralisi.
L’aspettativa di vita media era di quaranta anni. Come si può vedere l’epoca medievale non era certamente quell’Eden che qualcuno vuol farci credere.
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