Era il 1943 ancora non avevo 18 anni, sarei dovuto partire un 25 di sabato, non ricordo neppure di che mese, non era una data che ritenevo importante, infatti non andai e restai a Castelpoggio ad aiutare la famiglia nei campi. Un giorno ritornando dal lavoro agricolo appena entrato in paese il padre della mia futura sposa, Gabriella, mi venne incontro e mi disse che i carabinieri erano stati a casa mia e mi stavano cercando per il paese. Io che sapevo cosa volessero ugualmente gli dissi sorridendo "Cosa vogliono ? Io non ho fatto mai nulla di male".
Mi diressi verso casa per sentire da mia mamma che avevano detto i militi ed appena entrato gli chiesi: "Mamma che casa volevano i carabinieri?" mi rispose spaventata "lo sai cosa volevano, hanno detto che se non parti mi portano via me".
Andai a cercarli per affrontarli a viso aperto e presentare le mie ragioni. Il maresciallo, un altro carabiniere in compagnia di un vigile che a quei tempi viveva a Castelpoggio erano all'interno dell'alimentari (adesso Alimentari Lisa e Raffaella). Tutti e tre erano seduti ad un tavolino in fondo al negozio, mi avvicinai ed esordi dicendo "signori io sono della marina e non dell'esercito, quindi devo essere chiamato più tardi come succede a quelli della marina" il maresciallo rispose: "tu adesso sei stato assegnato al esercito e se non ti presenti la prossima volta che ti veniamo a cercare ti spariamo.
Nei giorni successivi mi decisi a partire, sopratutto per proteggere l'incolumità dei miei. Mi portarono a Firenze a li mi fecero stare in caserma in borghese ad aspettare di essere vestito e assegnato ad una compagnia, eravamo in tantissimi, da tutta la Toscana. Ci davano poco da mangiare e quando finalmente si decisero ad assegnarci ci fecero marciare sempre in borghese fino alla stazione di Santa Maria Novella. A piedi in mezzo alla città con un gruppo di tedeschi di dentro ed uno di fronte. Passando lungo un viale abbastanza popolato cominciammo tutti a gridare "abbiamo fame, abbiamo fame". La gente mossa da pietà faceva scendere dalle finestre in cesti di vimini tozzi di pane che all'epoca, in tempo di guerra e fame erano preziosi più dell'oro. Non mi scorderò mai quel momento, sicuramente la gente si tolse il pane di bocca per darlo a noi.
I tedeschi non riuscirono a fermare questo atto di solidarietà e dovettero chiudere la strada per aspettare che ci rifocillassimo. Alla stazione ci caricarono su un treno bestiame, eravamo tutti accalcati peggio di animali. A Rifredi fra le fessure del treno riconobbi due miei compaesani (uno era Giuliano Pucciarelli) anche loro sotto le armi stavano lavorando per ricostruire la stazione, oggetto di un recente bombardamento. Li chiamai, mi risposero ma poi il treno inizio a camminare e non li vidi più se non dopo la guerra.
Mi ritroavi in una caserma di Bologna, non volevo fare il militare tanto meno con i fascisti ed i tedeschi al comando, cercavo di fare sempre il meno possibile, molte volte disobbedendo agli ordini, ma sempre da furbo e quando era possibile. Ricordo quella volta che un ufficiale appena entrato in caserma ordino a me a al mio amico di portare il suo calesse nelle scuderie. Io subito risposi "signorsì" e mi misi al lavoro, appena l'ufficiale svoltò l'angolo istigai il mio amico a lasciare il carro dove era, "che se lo porti da solo il suo carro" e cosi ritornammo sui nostri passi.
Quando quasi era imminente il trasferimento della mia compagnia sul fronte in Germania, mi iscrissi sempre insieme al mio amico ad un corso di armeria che avrebbe dovuto svolgersi a Modena, lo scopo era evitare il fronte ma anche avvicinarsi a casa ed avere più probabilità di organizzare una fuga. Per fortuna accolsero la nostra richiesta e fummo trasferiti a Modena ancora su un treno merci per partecipare al corso. Ma a Modena il corso non si tenne, fu spostato a Bassano e anche noi dovemmo adeguarci. In ogni caso il progetto di fuga rimase un idea fissa nonostante la lontananza e infatti scappai poco dopo. Tornare subito a casa era ancora troppo rischioso e la strada era lunga, una famiglia contadina vicino a Vicenza mi accolse fino alla fine della guerra in cambio del mio lavoro nei campi. Avevano una grande fattoria e molti animali, mi trattarono sempre molto bene e come uno della famiglia, alla mattina per colazione avevo sempre a disposizione latte fresco e un paiolo pieno di uova e alla sera ci trovavamo tutti nella stalla al calduccio a mangiare polenta. Finalmente la guerra fini e potei ritornare a Castelpoggio dai miei cari e dalla mia futura moglie.
Pucciarelli Andrea
"Gesù le disse: "Io sono la Resurrezione e la Vita;
chi ha fede in me, anche se muore,
tornerà a vivere".
(Giovanni)
Sentite Condoglianze
Scritto da: | 12 aprile 2008 a 00:21