I documenti più antichi che attestano la esistenza di Castelpoggio si trovano nel Codice Pelavicino. Questo codice è la trascrizione e la raccolta di 546 documenti relativi a possedimenti, avvenimenti, controversie, diritti ecc. del Vescovo e Conte di Luni, che era anche sovrano civile di parte della Lunigiana. Si chiama Pelavicino da Oberto Pelavicino, vicario dell'imperatore Federico II nel territorio lunense, che ne ordinò la compilazione verso il 1230, completata poi dal Vescovo Enrico da Fucecchio nel 1275. L'ordine dei documenti non è cronologico. Il documento più antico è del 24 maggio 900 e il più recente è del 10 novembre 1297. Verso il 1487 andarono perduti 59 documenti dal n. 159 al 216. Il Codice appartiene al Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Sarzana e attualmente si conserva nell'Archivio Vescovile del seminario di quella città. Nel 1912 lo storico prof. Michele Lupo Gentile ne fece il regesto e lo pubblicò negli Atti della Società ligure di Storia Patria, ai quali mi attengo nelle descrizioni che seguiranno e che citerò sempre con le iniziali C.P. I documenti quindi del C.P. nei quali, direttamente o indirettamente, è citato Castelpoggio sono degli anni 997,1085, 1151, 1178, 1181, 1234, 1235, 1252, e 1270.
Il primo documento , redatto a Carrara, è del 30 marzo 997 (n. 297). Si riferisce ad una permuta di beni. Il vescovo di Luni Gottifredo cede ad un certo Bonizo, prete della chiesa di Luni e di nazione longobarda, un appezzamento di terra sul monte Volpiglione: monte del quale si danno i punti di riferimento o di confini tra il territorio di Avenza, di Casano e di Casa Poici. A sua volta il prete Bonizo cede al vascovo di Luni appezzamenti di terre in Caniparola e dintorni. Questo prete Bonizo ricompare come teste nel documento n. 488 (C.P.) del novembre 1039, subito dopo la firma del vescovo e con il titolo di arcidiacono della chiesa lunense. Appartiene alla casata lucchese-longobarda, forse della famiglia del marchese Alberto Rufo, di cui al documento seguente.
Nel documento del 7 marzo 1085 (n. 223), redatto a Sarzana, il marchese Alberto Rufo fu Alberto conferma alla chiesa di Luni " per la salvezza dell'anima sua, del suo padre Alberto e del suo fratello Ugo" tutto quello che suo padre aveva già donato, e cioè terre e case in Vezzano, Arcola, Pegazzana, Vallecchia ecc. e inoltre "quanto apparteneva a mio padre in Casepoci"
Nel documento del 3 dicembre 1151 (n.326), redatto ad Ameglia, con il quale il vescovo di Luni cede ai Canonici Regolari (frati) di S. Frediano di Lucca la giurisdizione spirituale su tutta la valle carrarese, tra le cessioni viene ricordato anche l'ospedale di Monte Forca con le sue cappelle di S. Sisto e di S. Pancrazio (o Brancacio?). Tali cessioni saranno poi confermate dal papa Anastasio in un altro documento del 18 marzo 1154. Ora è risaputo, e avremo in seguito modo di ritornare su questo argomento, che a Castelpoggio, nei pressi di Monte Forca, esisteva la cappella di S. Sisto mentre la devozione a tale santo, con relativa festa al 6 agosto, è ancora vivamente sentita e praticata.
I documenti del 4 ottobre 1178 (n. 325), del 14marzo 1181 (n. 507 e del 3 aprile 1184 (n. 269) si riferiscono ad una controversia di confine tra gli abitanti di Fosdinovo e di Vallecchi. Tra i testi a favore di Vallecchia compariscono anche due uomini (Ugo e Massero) di caseposi. Negli stessi documenti è citata anche la località Acqua Nera, tuttora ben nota, come confine tra gli uomini di Castelpoggio e di Vallecchia. Nel documento del 22gennaio 1234 (n. 334) un Oddo de Casapoci è testimonio di un contratto di locazione di un piccolo terreno ad Ortomurano tra i consoli di Carrara e un certo Domenico di Bedizzano.
Nello statuto del 27 maggio (n. 312), concesso dal vescovo di Luni ai carraresi, redatto nella chiesa di S. Pietro ad Avenza e da cui trae la sua origine e i suoi primi passi il comune di Carrara, trea i molti obblighi che vengono imposti agli abitanti vi è anche quello di coltivare gli ortia verdura. Da questo ultimo obbligo però sono esplicitamente esclusi gli uomini di Castelpoggio, Noceto, Bergiola e Collonnata, evidentemente per non godere le citate località di un clima adatto per tale cultura. Il documento del giorno 11 febbraio 1252 (n. 321) ricorda un certo Vicino ( notare quel nome o parola Vicino forse sta a vicinanza-di cui parleremo a suo tempo- come paesano sta a paese) fu Agostino di Castelpoggio, che prende in affitto perpetuo dai fratelli Plebano e Rollndino di Vezzala una tenuta di terra in un luogo non precisato.
E infine il documento del 31 dicembre 1270 (n. 515). Si tratta della istruttoria di una causa intentata dal vascovo e conte di Luni Guglielmo per affermare i diritti di sovranità temporale della chiesa lunense sul comune e gli uomini di Marciaso. L'istruttoria è affidata al N.H.Normannino Bernarducci di Lucca. Tra gli interrogati vi è un certo Fortino Corsi di Torano, il quale fornisce diverse prove per dimostrare che gli uomini di Marciaso hanno nel passato riconosciuto la sovranità del vescovo di Luni. Fra le prove vi è il fatto, da lui asserito, che circa 40 o al massimo 50 anni prima (quindi tra il 1230 e il 1240), quando egli era console di Carrara, lo stesso vescovo e conte Guglielmo, alla testa degli uomini di Marciaso, marciò contro gli uomini e il comune di Castelpoggio e contro i carraresi. Vale la pena di sottolineare che in questo documento Castelpoggio viene qualificato comune.
Tratto dal Dal libro "Castelpoggio. Un paese del comune di Carrara con mille anni della sua storia" di Don Angelo Ricci (pag 14-15-16). Edizioni Centro Studi storia locale, 1984
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